Giuseppe Guarneri “filius Andreae”, Cremona 1666 – 1740

L’architettura dei giardini nel centro di Cremona, l’ampio spazio verde che essi offrono alla vista e al godimento dei cittadini, la galleria dal maturo stile fascista che ne chiude l’imbocco, lasciano poco intendere oggi agli appassionati di liuteria su quale ne sia stato l’aspetto ai tempi dei migliori artefici cremonesi. La basilica di San Domenico, connotata da una bella facciata medievale a capanna con galleria ad archetti, e dalla successiva grande ristrutturazione rinascimentale, fitta di cappelle, torricini e annesso monastero, s’imponeva in tutta la sua grandiosità a breve distanza dalla Cattedrale.
La piazzola antistante, detta di San Domenico, luogo d’incontro per mercanti, artigiani e musicisti, era conchiusa in fronte da un gruppetto di case, ognuna unita all’altra, con un piccolo vicolo chiuso retrostante: qui si svolsero le vite delle tre grandi famiglie di liutai cremonesi, gli Amati, i Guarneri, gli Stradivari. Quando nel 1698 morì Andrea, capostipite della famiglia e proprietario della casa, (acquistata grazie anche all’eredità della moglie Anna Orcelli che permise di accorpare i due immobili adiacenti), Giuseppe Guarneri era un liutaio ormai esperto ed autonomo, pronto ad opporre un’agguerrita concorrenza verso il suo più famoso vicino di casa, quell’Antonio Stradivari, i cui affari procedevano prosperi e copiosi. Fu questo un momento importante per la famiglia Guarneri: i due fratelli Pietro e Giuseppe seppero spartire l’eredita dei Andrea in modo retto e collaborativo: merito anche del padre che, nonostante mai avesse perdonato a Pietro il suo trasferimento a Mantova, volle essere giusto con entrambi i figli. Nello stesso anno Giuseppe divenne padre per la terza volta, avendo la moglie Barbara partorito Bartolomeo Giuseppe, il futuro “del Gesù”. Il fratello Pietro gli lasciò quindi, come convenuto, la casa di famiglia, i legni e gli attrezzi in essa contenuti, e immaginiamo anche l’auspicio che egli potesse tenere alta la posizione e la tradizione di famiglia in città. Nonostante i positivi auspici, l’inizio del nuovo secolo dovette essere assai difficile per la città di Cremona e di conseguenza, per il nostro artefice: nel primo decennio si assistette al crollo del potere spagnolo che da quasi due secoli teneva sotto di sé il Ducato di Milano, si assistette all’occupazione delle truppe francesi, al passaggio del Ducato agli Asburgo, al temporaneo collasso dell’economia agricola e per chiudere a calamità naturali quali alcune inondazioni del Po. Ciò nonostante, va detto che il mercato della liuteria sostanzialmente resse il colpo: la concorrenza in città si era ormai ridotta poiché il successore di Nicolò Amati, Gerolamo II, dovette abbandonare la città a causa dei suoi problemi finanziari; inoltre, morto Francesco Ruggeri alla fine del secolo precedente, i figli non riuscirono ad imporsi sul mercato. Se escludiamo lo Stradivari, che ormai vantava una posizione di dominio avendo il controllo delle committenze migliori, la posizione di Giuseppe Guarneri, benché secondaria, garantiva alla bottega una buona continuità produttiva. Furono quindi i primi quindici anni del Settecento particolarmente attivi per la bottega; le vicende familiari invece furono più tortuose e complesse e ne abbiamo conoscenza precisa grazie alle ricerche iniziate dai fratelli Hill e accuratamente perfezionate in epoca recente da Duane Rosengard e Carlo Chiesa. Riassumendo: nel 1706 il primogenito Andrea, quasi certamente destinato a continuare la bottega paterna, muore improvvisamente; nel 1715 Giuseppe accende un debito ipotecario su Casa Guarneri che diverrà causa di futuro dissesto finanziario; nel 1717 Pietro abbandona Cremona per Venezia iniziando, finalmente per lui, l’attività in proprio; Giuseppe il giovane ancora assiste il padre ma di lì a poco, presa moglie nel 1722, interrompe il mestiere per cercare migliori fortune in altre attività. Il seguito fu un susseguirsi di vicende deprimenti, dal protrarsi dei debiti conseguiti per difendere la proprietà della casa, alle condizioni di salute che portarono Giuseppe sr. in ospedale nel 1730, al suo ritorno in casa (probabilmente da disabile), all’aiuto del figlio Giuseppe che torna a collaborare col padre (incaricato di scolpire le teste per i suoi violini), fino alla morte occorsa in condizioni di quasi indigenza, nel 1740.
Il violino che qui presentiamo fu costruito intorno al 1705, in uno dei periodi più felici della produzione di Giuseppe; lo stile affascina per una certa commistione che coniuga positivamente tradizione e innovazione: erede del patrimonio stilistico della famiglia Amati tramite il padre Andrea, che fu il più fedele allievo di Nicolò, Giuseppe in questo violino mostra linee di piacevole novità, di emancipazione: in particolare nella maggiore forza del modello, nel bordo più potente e soprattutto nella sua personalissima libertà scultorea, sempre ammirabile nei suoi riccioli, tra i più affascinanti di tutta la storia liutaria cremonese. Del padre volle abbandonare, o quantomeno modificare, la vernice, che da un colore bruno marrone, portò verso tonalità più brillanti e profonde dai colori arancio e rosso bruno; importante fu certamente in questo passaggio l’influenza del fratello Pietro che già a Mantova stava sperimentando simili soluzioni. Non possiamo che nominare, tra coloro i quali hanno contribuito alla maturazione del suo proprio stile individuale, anche il suo grande concorrente e vicino di casa, l’Antonio Stradivari, di cui certamente seguiva le novità e l’evolversi dei modelli. Di contro, pur non avendo altri allievi documentati (i fratelli Hill ipotizzarono una frequentazione da parte di Carlo Bergonzi), ebbe grande influenza sui figli, in particolar modo su Giuseppe “del Gesù”, che soprattutto all’inizio della carriera tenne a gran rispetto sia la liuteria paterna che quella del vicino di casa Stradivari. Strano destino quello del Giuseppe: fino tutto il primo Ottocento il più importante artefice della famiglia Guarneri fu considerato il padre Andrea; successivamente il figlio minore Giuseppe “del Gesù” il quale divenne, grazie anche a Nicolò Paganini, ciò che tutt’oggi consideriamo. La fortuna critica di Giuseppe senior è quindi risultata ingiustamente compressa tra quella del padre e quella del figlio, stretto all’interno dei membri della sua stessa famiglia della quale volle, fino all’ultimo, tenacemente tenere unita la trazione.

Analisi dello strumento

Etichetta – Secondo la certificazione emessa, l’etichetta è originale ed autografa: la carta non mostra una vergatura profonda, l’impressione tipografica è leggera ma risulta alla vista ben inchiostrata: il numero 1, marcato a pennino, appare sbiadito, il 7 invece ben segnato, lo 0 e l’ultima cifra purtroppo danneggiati.
Costruzione – Persi i tasselli di testa e alcuni centrali, l’interno mostra significative specificità della costruzione d’origine. Molto particolari le controfasce dalla fibra larga (solo tre autunnali in alcune) che risultano piuttosto alte e bombate, con segni di lavorazione, gobbe e perdita di frammenti durante la lavorazione; si incastrano in tasselli centrali dal colore chiaro finiti a sgorbia. L’interno appare comunque molto simile a quelli del figlio minore Giuseppe sia per velocità di lavorazione che per una certa noncuranza.
Piani armonici – Tavola: la bella scultura del piano armonico si eleva piena fino al colmo, posto nel centro geometrico dello strumento: appare essa quasi una modernizzazione delle bombature di tradizione Amati: curva e stretta nella parte centrale, ma più tesa e piena nel dirigersi verso le estremità superiori ed inferiori e verso i bordi del violino. L’altezza massima (16,3 millimetri) si trova quindi appena sotto i fori superiori delle effe, e discende già a partire dal diapason, collocato all’inusuale lunghezza di 20,2.
Fondo: come per la tavola il punto più alto si trova appena sotto le punte superiori, ad una altezza di 16,8. Vi è una certa irregolarità nella parte superiore nella zona del nodo in cui si nota una ingobbatura, dovuta al movimento naturale del legno, e, verso l’esterno, un forte svuotamento: in generale questo lato appare più magro e la sgorbia sembra essere entrata piatta per poi elevarsi bruscamente.
Bordi e filetti – Bellissimo e personalissimo il filetto nel quale il “nero” risulta predominante e molto mosso, piacevolmente separato dal “bianco” in alcuni punti; la tintura non è uniforme, fu forse eseguita frettolosamente e l’unione tra le tre strisce risulta poco solidale: il canale è irregolare con segni di coltello e vuoti, la superfice del filetto frastagliata; sul fondo non si notano giunture, le lunghe parti superiori ed inferiori sembrano fatte in pezzi unici; lo spessore è di 1,3 abbondante, anche se alla vista si direbbe più sottile. Le punte hanno bei prolungamenti equivalenti, e in quelle inferiori il filetto che giunge dal corpo s’impone su quello della “C”. L’incasso è posto a 3,3 millimetri, il bordo è spesso 3 e 3,5 sulle punte, l’overhang è di 3,7 sulle “C” mentre decresce a 2,7 sui corpi superiore ed inferiore. La sezione del bordo (ovvero la sua rotondità) intorno alla “C” e alle punte è fortemente ovalizzata con diverse linee piatte: da notare che le fasce sono intonse, nessun graffio di lima o rasiera, ma solo le tracce del coltello che ha abbozzato l’arrotondamento sulle pareti del bordo, con qualche residuo di sbriciolamento.
La sguscia, che piega a 2,5, è priva di contro-curva e genera un bordino a cordone delicato e lavorato, seppure con spontaneità, con una certa cura: la profondità è leggera e ben calibrata, quasi costante a 0,5: da notare il raccordo irregolare alla nocetta, tipico di padre e figlio, che interrompe bruscamente la regolarità del fluire del bordo. Probabile l’uso di una rasiera con testa piccola e molto curva lungo tutto il percorso della sguscia.
Effe – Giuseppe Guarneri qui utilizza un bel modello di ispirazione Amati al quale apporta personali elementi di ammodernamento: i fusti sono appena più rigidi, gli occhi inferiori leggermente ovalizzati, le tacche larghe e profonde. Notevole la sgusciatura che crea un raccordo irregolare con la bombatura: essa parte profonda sul lato della effe e s’interrompe sfumando alla paletta, che viene terminata con la rasiera: tutta l’area della effe risulta raccordata con poca cura, si vede il trapasso tra lavorazione a sgorbia, pialletto e rasiera, e la finitura con materiale abrasivo che ha ammorbidito, arrotondano leggermente, i fusti delle effe.
Testa – Il talento scultoreo di Giuseppe Guarneri trova il suo esito migliore nell’intaglio del ricciolo, nel quale riesce ad imprimere una meravigliosa combinazione di personalità, originalità, immediatezza e forza espressiva
Dalla vista laterale appare chiaramente lo stile Guarneri maturo: nel lato sol la ganascia procede piana, la concavità inizia solo in prossimità del punto più stretto del dorso al vertice della testa; la lavorazione dei giri laterali fu condotta con una sgorbia piccola che ha lasciato diverse tracce sul suo percorso. Bellissimo lo smusso a taglio, successivamente arrotondato con garbo, che definisce il giro della spirale e giunge all’occhio piuttosto largo lasciando così una piccola circonferenza ben definita. Nella vista frontale il ventaglio appare piuttosto rigido e ancora si nota il gusto Amati nell’arrotondamento pieno dei giri; la scultura di questi appare sostanzialmente coerente tra i due lati e mostra piacevoli alternanze di vuoti e pieni, di sopra-squadra e sotto-squadra, tuttavia meno estremi rispetto alle teste degli ultimi strumenti del figlio Giuseppe “del Gesù”. Nel dorso si notano i punti di centratura mentre non appare alcuna linea di mezzeria; il bottone inferiore risulta ampio e poco sgusciato, lo smusso laterale si mostra largo e di angolo cadente; da notare questi profondi graffi, forse causati dalla punta di una rasiera.
Vernice – Seppure mutilata con ogni probabilità in passato da una violenta quanto insensata pulitura, la vernice che ancora veste questo strumento ci appare in tutto il suo splendore conservativo: consistente di pasta e spessa nella tessitura, perfettamente ancorata, meravigliosamente trasparente, ricca di una brillante pigmentazione arancio bruno che riempie la vista di bellissimi riflessi damascati. Sorprendente il sottofondo, così fortemente sigillante, dalla dominante verde venata di colore ocra e cannella, sul quale la vernice fu convenientemente adagiata: l’effetto è liquido e trasparente, rivelatore di una preziosa e armonica concordanza tra vernice e sottofondo.

Misure

Lunghezza – fondo 358 tavola 357
Larghezza superiore – fondo 169 tavola 170
Larghezza centrale – fondo 108,3 tavola 108
Larghezza inferiore – fondo 206,3 tavola 206 (bordo rovinato) Occhi effe – 40,6 – Fasce – 28,7 – 30,4 – 30 – 29,5

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